«Laetissimum spatium» – Il tempo della gioia

La proposta del Lezionario intende far crescere non soltanto la fede nel Risorto, ma anche la consapevolezza della sua azione nello Spirito nella vitalità della comunità cristiana. A ciò corrisponde una maggiore coscienza del tempo pasquale come tempo festivo per eccellenza, in cui sia possibile vivere l’incontro con l’Altro e con gli altri, tempo in cui la percezione del tempo e degli spazi introduce nel mistero del Signore.

I mutati ritmi sociali, l’affermarsi di abitudini distanti da una mentalità fortemente condizionata dal calendario ecclesiastico, esigenze “pastorali” impellenti, ma distratte rispetto alla prassi e alla teologia della iniziazione cristiana, percorsi di devozione mariana e, non ultimo, le fughe vacanziere delle domeniche di maggio, certamente non aiutano fedeli e operatori pastorali nella comprensione e nella celebrazione di quello che già Tertulliano denominava “laetissimum spatium”.

 

Anche l’intensità e l’entusiasmo delle iniziative pastorali programmate per la Quaresima sembra sfuocarsi dopo la celebrazione del Triduo e le attività parrocchiali sembrano piuttosto proiettate verso la preparazione delle proposte estive. La stessa celebrazione dei sacramenti iniziatici sovente viene connessa a motivazioni sentimentali (non è una novità che tante “prime comunioni” trovino la loro collocazione nel mese di maggio in quanto mese primaverile, della mamma e del rosario) piuttosto che al fondamento solido della Pasqua di Cristo nella quale l’uomo diventa creatura nuova nel Battesimo e nella partecipazione eucaristica grazie all’azione dello Spirito.

 

Eppure, fin dalle riforme del 1951, è chiara la volontà di far emergere l’unità del tempo pasquale in quanto tempo dell’esultanza per la risurrezione del Signore e per la rinascita dei figli della Chiesa come è comprovato dai testi liturgici. La denominazione “domeniche di Pasqua”, delle quali quella della Risurrezione ne è la prima, i testi di preghiera e l’organizzazione del Lezionario, consentono di cogliere questo tempo come unitario nel quale si distende l’esperienza pasquale dei discepoli di Cristo.

 

È «la celebrazione pasquale nel tempo sacro dei cinquanta giorni» come si esprime l’orazione colletta della Messa vigiliare della domenica di Pentecoste. I prefazi pasquali alludono alla “pienezza della gioia pasquale”, una gioia che, se non rimane in continua tensione, rischia di svanirsi alla prima settimana, vittima della routine. La sapienza ecclesiale per questo si appoggia ai tesori della tradizione liturgica, al linguaggio rituale, allo scavo simbolico che tempi, spazi, parole e gesti compiono. Alcune attenzioni sembrano di primo ordine per mantenere viva la sobria ebrietas dei cinquanta giorni. Innanzitutto, un rinnovato interesse per i testi biblici e di preghiera: tale operazione costituisce un nutrito filone per alimentare una spiritualità pasquale che si radica nell’evento di Cristo.

 

La proposta del Lezionario intende far crescere non soltanto la fede nel Risorto, ma anche la consapevolezza della sua azione nello Spirito nella vitalità della comunità cristiana. A ciò corrisponde una maggiore coscienza del tempo pasquale come tempo festivo per eccellenza, in cui sia possibile vivere l’incontro con l’Altro e con gli altri, tempo in cui la percezione del tempo e degli spazi introduce nel mistero del Signore.

 

È evidente che per favorire questo è necessario vincere una certa stanchezza che si registra subito dopo il giorno di Pasqua e tenere desta la tensione nella cura dei luoghi e nella preparazione dei riti. Ciò domanda a pastori e fedeli di non mortificare, ma semmai di ridare vitalità a segmenti rituali o elementi che per l’abitudine rischiano di non dire più niente.

 

Primo fra tutti, il cero acceso in ogni celebrazione: è la colonna di fuoco e di luce che guida la Chiesa nel cammino del mondo. Esso non deve essere abbandonato, ma apprezzato quale richiamo costante alla grande Notte, onorato con l’incenso e utilizzato in momenti celebrativi peculiari per attingere la luce dei fedeli (si pensi soprattutto al lucernario dei Vespri).

 

Anche l’aspersione con l’acqua battesimale, se compiuta ogni domenica, permette al corpo di percepire tutta l’attualità della Pasqua nella nuova vita dei credenti: in questo caso un gesto ampio e non minimale, il riferimento al fonte e il canto concorrono a far rivivere la memoria del Battesimo in modo significativo.

 

Il canto festoso dell’Alleluia, taciuto lungo tutta la Quaresima, deve poter segnare di gioia incontenibile le assemblee di fede. Nelle celebrazioni eucaristiche, ricorrendo alle varie figure ministeriali, non si può continuare a trascurare la comunione anche al vino nell’ottica della nuova Alleanza che Cristo ha stabilito con la sua Pasqua.

 

Tutto questo domanda innanzitutto una profonda conversione pastorale per ricentrare l’esperienza eucaristica domenicale e la prima partecipazione all’Eucaristia (“prima comunione”) nella Pasqua di Cristo: è nell’Eucaristia celebrata che i fedeli ritornano all’evento fondante della morte e della risurrezione di Cristo ed è nella prima Eucaristia dei neofiti che si compie e si completa il passaggio dalla morte alla vita che l’iniziazione attua e avviene l’inserimento nella comunità di coloro che stabilmente incontrano il Risorto proprio nell’Eucaristia. Anche alcuni riti come la benedizione dei cibi pasquali, soprattutto nel Friuli orientale, e le rogazioni, celebrano le cose nuove che la risurrezione del Signore ha inaugurato: tutte le realtà create partecipano del grande dono.

 

Si tratta, così, di aiutare le comunità a percepire veramente il tratto festivo di un tempo da vivere nella gioia come se fosse un giorno solo. Ogni scadimento o indebolimento degli aspetti rituali non fa che impoverire la percezione dei cinquanta giorni pasquali come tempo nel quale si gusta la gioia della salvezza e si pregusta l’eterna beatitudine. Quanto più è intensa la percezione pasquale di un tempo rinnovato, quanto più la vita liturgica riesce a farci sperimentare l’eccedenza della novità pasquale, tanto più l’“ordinario” apparirà segnato e trasfigurato dall’esperienza dei credenti usciti dalle acque della rinascita, segnati dal fuoco dello Spirito e rinvigoriti dal pane eucaristico: «Sia Cristo il nostro cibo, la fede sia la nostra bevanda: beviamo nella gioia la sobria ebbrezza dello Spirito» (inno Splendor paternae gloriae).

rssyoutube

Vuoi condividere questo articolo?

Facebooktwittermail