Disponibile il sussidio, predisposto dalla Commissione Liturgica Diocesana, in vista dell’anno della Speranza. Il materiale suggerito può essere variamente utilizzato in momenti di preghiera, veglie in particolari circostanze, tempi di adorazione eucaristica.
«Nell’attesa della beata speranza»: con questa rapida espressione, tratta dalla lettera di Paolo a Tito (2,13) e inserita nella liturgia romana nell’invocazione che amplia le domande del Padre nostro, si potrebbe circoscrivere il celebrare nella Chiesa. Infatti, si celebra nel tempo e nei luoghi fino a che si realizzi la speranza che alimenta la vita del credente. Quale speranza? Quella, innanzitutto, del ritorno glorioso del Signore e, in essa, le piccole speranze che danno il sapore della Pasqua al cammino dell’uomo. Nel tempo la Chiesa celebra perché riconosce già l’agire di Dio e, così, “pregusta” (cfr. SC 8) l’eternità: di conseguenza, ogni azione liturgica, e quella eucaristica in particolare, è apertura sul mistero di salvezza e manifestazione della novità di Dio sull’ordinario dell’uomo. A questa consapevolezza vuole guidare il sussidio liturgico per l’anno della speranza «Canta e cammina». Celebrare la speranza, a cura della Commissione Liturgica Diocesana, attraverso la proposta di testi e melodie per “respirare” la speranza cristiana nelle celebrazioni liturgiche.
Il materiale suggerito può essere variamente utilizzato in momenti di preghiera, veglie in particolari circostanze, tempi di adorazione eucaristica.
Il sussidio si apre con un’introduzione per comprendere il nesso tra speranza e liturgia e per aiutare a cogliere la declinazione della speranza nelle celebrazione dei sacramenti e in quelle azioni liturgiche che vanno sotto il nome di sacramentali (benedizioni, esequie), nell’anno liturgico e nella liturgia delle ore. Uno sguardo panoramico sulla vita liturgica delle nostre comunità per riconoscere che la liturgia non ha il compito di mettere a tema la speranza, ma di consentirne l’esperienza attraverso il linguaggio simbolico-rituale.
Quindi lo strumento suggerisce alcuni salmi biblici che meglio di altri cantano la speranza del credente che si apre con fiducia all’intervento amoroso del Signore. Si pensi soltanto al salmo 129/130, il De profundis, solitamente impiegato nella liturgia dei defunti e che troviamo in posizione di onore nei Vespri del Natale: occasioni diverse con il comune denominatore della speranza in Colui che porta a compimento le sue promesse. Seguono alcune proposte tratte dall’eucologia (testi di preghiera) del Messale Romano: una formula per il saluto introduttivo, alcune formule per la benedizione e alcune orazioni che, traendo spunto dalla Parola di Dio, riesprimono in modo orante la speranza del credente.
Seguono alcuni testi di preghiera, secondo la tipica struttura della preghiera liturgica (memoria e invocazione), da poter utilizzare in vario modo. Non mancano, naturalmente, le invocazioni a Maria da sempre salutata quale «Mater spei» e, addirittura, «spes nostra».
Infine, alcune proposte per il canto in italiano e in friulano: si tratta di canti conosciuti o facilmente reperibili e di alcune proposte nuove. In particolare, il ritornello Amen. Veni Domine Iesu (cfr. Ap 22,20), in varie lingue, da intercalare a testi di preghiera o da ripetere come forma contemplativa. Così pure l’acclamazione Tu sei la nostra speranza/Tu sês tu, Signôr, la nestre sperance, tipico delle invocazioni della Liturgia delle ore.
Naturalmente il materiale contenuto nel sussidio può essere utilizzato oltre l’anno della speranza e a prescindere da esso. La ricchezza della preghiera della Chiesa, del canto tradizionale e dell’arte dei compositori sono un grande patrimonio a continua disposizione delle nostre assemblee.
L’invito è a farne uso, secondo le proprie necessità e possibilità, ma sempre puntando a fare del proprio meglio per la lode di Dio, per una celebrazione degna dei santi misteri e per fare in modo, secondo l’insegnamento di sant’Agostino, che il nostro cammino sia ritmato dal canto. Così l’impegno si colora di speranza vera perché l’uomo osa ancora sporgersi sull’imprevedibile di Dio.