«Pur diviso in tante fiammelle…»: il cero pasquale nella celebrazione delle Collaborazioni pastorali

La situazione ecclesiale degli ultimi decenni, e ora l’istituzione delle Collaborazioni Pastorali, chiedono alle comunità di radunarsi per celebrare insieme la grande Veglia pasquale, “madre di tutte le veglie”, nella notte più luminosa dell’anno. Un elemento simbolico che può acquistare una valenza tutta particolare è proprio la presenza dei ceri pasquali delle comunità parrocchiali che afferiscono ad una Collaborazione Pastorale o a comunità che celebrano insieme i riti pasquali (perché, per esempio, hanno lo stesso parroco).

L’ufficio liturgico diocesano offre una riflessione, corredata da una proposta volta all’integrazione di più ceri pasquali in un’unica celebrazione del Triduo pasquale nelle Collaborazioni pastorali.

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«Pur diviso in tante fiammelle…»

Il cero pasquale nella celebrazione delle Collaborazioni pastorali

 

Il cero acceso è senza dubbio il simbolo più eloquente delle solennità pasquali. Nella fase iniziale della grande Veglia, esso illumina l’assemblea dei fedeli ancora al buio, mentre qualcuno innalza la sua voce acclamando a Cristo, luce del mondo; in seguito, lungo tutti i cinquanta giorni, rimane al centro dello spazio liturgico quale memoria visiva della vittoria del Signore. Il cero, poi, torna protagonista nella liturgia dei battesimi e nelle esequie dei battezzati.

Probabilmente originatosi dall’accensione della lampada nell’ufficio vespertino che anticamente apriva la celebrazione della domenica, il cero pasquale è al centro di un’intensa ritualità nella Veglia. Esso viene preparato con l’incisione delle cifre dell’anno corrente e dell’alfa e dell’omega per indicare la signoria di Cristo sulla storia; quindi, dal fuoco nuovo si attinge la luce per accenderlo: è, secondo il testo liturgico, la luce di Cristo che risorge glorioso e che disperde le tenebre del cuore e dello spirito. A questo punto il cero fa il suo ingresso solenne nella chiesa buia: solo la sua luce la illumina. È una fiamma debole, eppure fende la barriera delle tenebre e contagia di luce i volti dei fedeli e le forme dello spazio: come il grande cero è simbolo del Risorto, così il piccolo lume tra le mani è simbolo del corpo salvato dei credenti. Al termine di questo ingresso solenne, l’antico preconio pasquale libera la lode della Chiesa nel cantare le meraviglie di questa notte: è la notte che porta a compimento tutte le altre notti in cui Dio ha compiuto prodigi per il suo popolo perché in questa notte Cristo ha debellato la morte per sempre. Il preconio è proprio una laus cerei, ovvero una lode a Dio in occasione dell’accensione del cero. La sua luce, poiché è la luce di Cristo, non può spegnersi, come auspica lo stesso preconio:

«Ti preghiamo, dunque, o Signore, che questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l’oscurità di questa notte risplenda di luce che mi si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto, Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena e vive e regna nei secoli dei secoli».

Un simbolo, dunque, carico di suggestioni, che non può essere oggetto di attenzioni particolari soltanto in un segmento della Veglia e poi dimenticato per tutto il tempo pasquale, né tantomeno banalizzato ricorrendo a surrogati di materiale plastico.

 

Un’unica Veglia

È noto che nella nostra tradizione il Sabato Santo (quando la Veglia Pasquale veniva anticipata alle ore mattutine del Sabato) era uno dei giorni in cui le chiese filiali erano tenute a recarsi in pellegrinaggio alla Pieve matrice. Anzi, in questa circostanza la Pieve assolveva pienamente al suo compito di essere “madre” di comunità con la celebrazione del Battesimo (screâ il bàtim, si diceva con espressione particolarmente suggestiva) mentre le filiali assolvevano all’obbligo di portare il cero pasquale, la cui benedizione poteva essere compiuta soltanto nella chiesa matrice.

La nuova situazione ecclesiale degli ultimi decenni, e ora l’istituzione delle Collaborazioni Pastorali, chiedono alle comunità di radunarsi per celebrare insieme la “madre di tutte le veglie” nella notte più luminosa dell’anno.

Un elemento simbolico che può acquistare una valenza tutta particolare è proprio la presenza dei ceri pasquali delle comunità parrocchiali che afferiscono ad una Collaborazione Pastorale o a comunità che celebrano insieme i riti pasquali (perché, per esempio, hanno lo stesso parroco).

L’unicità del simbolo del cero pasquale non è contraddetta dalla presenza di più ceri che entrano nel gioco di luce caratteristico della Veglia. È importante valorizzare il rimando tra l’unica Veglia, nella quale le comunità riunite rivivono la Pasqua del Signore nell’ascolto della Parola e nella partecipazione ai sacramenti, e la molteplicità delle parrocchie e delle chiese che sul territorio, fino alla Pentecoste, avranno poi modo di formare l’assemblea pasquale e ritornare a quella celebrazione “materna” di cui il cero acceso è memoria e segno di comunione.

 

Una proposta

Come integrare sapientemente la presenza di più ceri nella trama celebrativa della Veglia Pasquale?

  • Innanzitutto, è importante che essi siano presenti sin dall’inizio della prima parte della Veglia (lucernario), portati da alcuni rappresentanti della comunità. Bisognerà pensare per tempo il luogo dove si disporranno coloro che portano i ceri durante l’intera celebrazione.
  • Dopo la benedizione del fuoco viene preparato soltanto il cero della chiesa nella quale si svolge la Veglia (incisione della croce, dell’alfa e dell’omega, delle cifre dell’anno corrente e eventuale infissione dei grani d’incenso). Segue quindi l’accensione del cero. Sarà questo cero, poi, a guidare la processione con la triplice sosta nella navata della chiesa al canto del Lumen Christi.
  • Alla seconda sosta, a metà della chiesa, prima di accendere le candele dei fedeli si accendono anche gli altri ceri: questi si disporranno in modo tale che i fedeli vi possano attingere la luce per le loro candele.
  • Dopo la terza sosta davanti all’altare, il cero principale viene collocato sul candelabro accanto all’ambone o in mezzo al presbiterio, mentre coloro che portano gli altri ceri si disporranno nei luoghi loro assegnati. Certamente è più significativo che i ceri siano tenuti in mano dai rappresentanti della comunità, anziché collocati negli appositi sostegni.
  • Prima del preconio, il diacono (o il sacerdote) incensa il cero principale e anche gli altri ceri.
  • Per l’immersione nel fonte per la benedizione dell’acqua battesimale si utilizzerà il cero della chiesa nella quale si celebra.
  • Nella Messa del giorno i ceri verranno solennemente accolti nelle rispettive chiese parrocchiali, verranno portati nella processione d’ingresso e quindi incensati dopo l’altare e la croce.

 

Il cero tra tempo e luoghi

Il cero pasquale, possibilmente nuovo per ogni anno, di dimensioni notevoli e artisticamente decorato, custodisce un rapporto particolare con il tempo. Su di esso, infatti, viene incisa la croce e le cifre dell’anno in corso mentre colui che presiede dice le parole:

«Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega.
A lui appartengono il tempo e i secoli.
A lui la gloria e il potere per tutti i secoli dei secoli. Amen».

Poiché il cero pasquale è unico per ogni chiesa, esso ha anche un legame significativo con i luoghi e le comunità viventi nei territori. Alcuni esemplari antichi, tuttora conservati in Friuli, riportano l’immagine del santo titolare della chiesa. Posto al centro dello spazio celebrativo, abita e illumina il luogo della preghiera (possibilmente senza la concorrenza di altre candele) come colonna di fuoco che accompagna il cammino dei credenti attraverso il deserto del mondo (cf. Es 13,21).

Contro chi vuole vedere tutto e sempre e chi non vuole vedere nulla preferendo l’oscurità, il cero pasquale ci introduce discretamente alla contemplazione del Signore risorto. Custodiamo il valore simbolico del cero pasquale perché il suo simbolismo possa custodire e orientare il cammino delle Chiese.

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